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Rivoluzione bio: il mercato italiano è in trasformazione

Nel 2022 le vendite alimentari bio nel mercato interno italiano hanno raggiunto 5 miliardi di euro, e rappresentano il 3,5%delle vendite al dettaglio biologiche mondiali. Inoltre, nel 2022 l’89% delle famiglie italiane ha acquistato bio almeno una volta. Una quota stabile rispetto al precedente monitoraggio realizzato nel 2021 dall’Osservatorio SANA di BolognaFiere, curato da Nomisma. Negli ultimi 6 mesi, poi, più di sei italiani su 10 hanno consumato prodotti biologici fuori casa, in bar, ristoranti, pizzerie.  Le dimensioni del mercato interno segnalano però la presenza di alcune trasformazioni, effetto sia della progressiva uscita dalla crisi pandemica sia della ritrovata socialità degli italiani.

I consumi fuori casa trainano la crescita

A trainare la crescita sono i consumi fuori casa, che hanno superato il miliardo di euro (+53% a valore), grazie alla dinamica della componente legata alla ristorazione collettiva (+20%) e della ristorazione commerciale (+79%). I consumi domestici, dopo il trend positivo degli ultimi anni, accusano invece una flessione (-0,8%), che risente della battuta d’arresto registrata dalla rete dei negozi specializzati (-8% rispetto allo stesso periodo del 2021). Di contro, la Distribuzione Moderna conferma le dimensioni del 2021 (+0,8% a valore) mentre crescono del 5% gli altri canali (vendita diretta realizzata in mercatini e aziende, gruppi d’acquisto solidale, farmacie, parafarmacie ed erboristerie).

Export bio: nel 2022 raggiunti 3,4 miliardi di euro 

Molto positiva la performance dell’export bio, che nel 2022 ha raggiunto 3,4 miliardi di euro, con una crescita rispetto all’anno precedente del +16%.
Sul fronte dell’offerta, l’Italia si conferma dunque Paese leader nel settore biologico per quota di superficie agricola, operatori ed export. Al tempo stesso, si registrano trasformazioni che riguardano i consumi interni: l’incidenza dei consumi bio sul totale dei consumi alimentari è ancora bassa rispetto ai principali paesi europei.

“Occorre far ripartire i consumi domestici”

“Per la prima volta si registra una leggera decrescita dei consumi domestici, in controtendenza rispetto a quelli della ristorazione, commerciale e collettiva, e all’export – commenta Maria Grazia Mammuccini, Presidente FederBio -. É evidente a tutti che il quadro dei consumi negli ultimi due anni è stato stravolto dalle emergenze che si sono susseguite – continua Mammuccini -. È fondamentale infatti far crescere sia la produzione sia i consumi utilizzando al meglio gli investimenti stanziati per il comparto, quasi 3 miliardi di euro per i prossimi 5 anni, sostenendo gli agricoltori nella transizione agroecologica per tutelare l’ambiente, contrastare i cambiamenti climatici e favorire un’occupazione agricola, in particolare di donne e giovani, sempre più interessati al metodo biologico”.

Credito al consumo, continua il trend di crescita nel primo trimestre 2022

Sono i prestiti personali a trainare la ripresa del credito al consumo nel primo trimestre del 2022. Lo evidenzia la 52^ edizione dell’Osservatorio sul Credito al Dettaglio realizzato da Assofin, CRIF e Prometeia. Tra gli altri dati emersi dal report, si scopre che le altre tipologie di finanziamento segnano un incremento più lieve, e in particolare sono in calo i finanziamenti per l’acquisto di moto e auto. D’altro canto, resta dinamico il mercato dei mutui immobiliari destinati all’acquisto della casa mentre segnano un deciso calo le surroghe.

Erogazioni a +15,7%

Le erogazioni di credito al consumo registrano un deciso rimbalzo (+15.7% rispetto al 2020) e quelle di mutui immobiliari alle famiglie consumatrici una crescita a doppia cifra (+10.8%). Nonostante le incertezze generate dal contesto geopolitico e dall’inflazione in aumento, anche nei primi tre mesi del 2022 la crescita prosegue per il credito al consumo (+11.6%) e per i mutui d’acquisto abitazione (+9.5%). Tale trend è il risultato della ripresa della domanda delle famiglie e di politiche creditizie degli operatori meno restrittive, seppure più prudenti rispetto al periodo pre-Covid.

L’andamento del credito al consumo

Nel 2021 il valore dei flussi di credito al consumo registra un deciso rimbalzo (+15.7% sull’anno precedente), senza però recuperare rispetto al periodo pre-Covid. Nel corso dell’anno, il credito al consumo ha mostrato una progressiva riduzione del gap rispetto ai volumi pre-pandemia, che si accentua nel quarto trimestre. Il trend positivo prosegue nel primo trimestre 2022 (+11%), grazie anche al confronto con i volumi modesti erogati nel primo trimestre 2021. Nel dettaglio, i prestiti personali, che avevano risentito più di altri prodotti della crisi innescata dalla pandemia, evidenziano una forte crescita nei primi tre mesi del 2022 (+33%), che riporta i volumi sui valori pre-Covid. Anche per i finanziamenti finalizzati all’acquisto di altri beni/servizi (destinati a sostenere le vendite di settori merceologici quali arredo, elettronica ed elettrodomestici, energie rinnovabili, ciclomotori e altri beni e servizi finanziabili) nel corso del primo trimestre del 2022 l’evoluzione è positiva (+8.1%), sebbene in rallentamento rispetto al 2021 (+14.9%) per via principalmente della minore crescita dei finanziamenti per elettronica/elettrodomestici. All’interno dell’aggregato hanno mostrato più vivacità i prestiti destinati ad acquisto di mobili/arredamento, legati alle nuove esigenze abitative e quelli finalizzati ad acquisti di ciclomotori, grazie anche al sostegno degli ecoincentivi.
I finanziamenti finalizzati all’acquisto di auto e moto, invece, dopo aver chiuso il 2021 in crescita a doppia cifra rispetto all’anno precedente (+14.1%), nel primo trimestre 2022 evidenziano un calo consistente (-9.5%), penalizzati dalla crisi della supply chain, dall’incremento dei costi delle materie prime sul mercato dell’auto nuova e dall’aumento del valore dell’usato. Infine, gli utilizzi rateizzati delle carte opzione/rateali, dopo due anni di calo, segnano nei primi tre mesi 2022 un incremento del +13.3%, che tuttavia non li riporta ai volumi pre-crisi.

I mutui immobiliari

Le erogazioni di mutui immobiliari alle famiglie consumatrici chiudono il 2021 con una crescita a doppia cifra (+10.8%) grazie al traino dei mutui con finalità d’acquisto abitazione.
Nel primo trimestre 2022 l’evoluzione complessiva è negativa (-6.4%), per via del crollo delle surroghe (-73.1%), mentre tiene la componente acquisto (+9.5%). Tale risultato si inserisce in un quadro caratterizzato dalla prosecuzione degli incentivi governativi (agevolazioni ai giovani, bonus prima casa, superbonus 110%), nel quale le compravendite immobiliari residenziali evidenziano un’evoluzione ancora positiva (+34.1% nel 2021 e +12% nel primo trimestre 2022).
 

Cercasi artigiani superpagati, ma non si trovano

Molti artigiani del legno e del mobile e relativi mestieri sono superpagati, ma sono anche introvabili, e le imprese se li contendono a suon di aumenti di stipendio. A denunciarlo è l’Unione artigiani, che al primo posto tra gli ‘introvabili’ pone i falegnami ebanisti. Quelli bravi ovviamente, che sanno partire dalle misure, dalla scelta delle tavole di legno per arrivare alla realizzazione del prodotto finito e personalizzato. Devono sapersi relazionare con i clienti finali, ma soprattutto con architetti e designer, ingegneri, esperti di materiali ecosostenibili, prototipazione e domotica, verniciatori e cucitrici, muratori, idraulici, imbianchini ed elettricisti. E poi devono avere competenze di Cad e Cnc.

Al corso da tappezziere si sono iscritti solo tre ragazzi  

Certo, esistono i corsi, ma ogni impresa forma sul campo queste figure affiancandole ai maestri. Molto spesso sono i familiari dei titolari, inseriti in un percorso di passaggio generazionale che però non sempre riesce. Esistono molte opportunità di lavoro anche per coloro che si mettono in proprio. I tappezzieri e le cucitrici sono ad esempio rispettivamente gli esperti degli imbottiti e delle cuciture di divani, cuscini, tende e altro, e hanno già il posto fisso dal momento in cui si iscrivono al corso e sono contesi a colpi di aumenti di stipendio. Eppure a oggi, al Cfp Terragni di Meda, cuore del distretto del mobile brianteo, al corso da tappezziere si sono iscritti direttamente dalla terza media solo tre ragazzi.

C’è carenza anche di restauratori di mobili e montatori

E in un clima di imprese sempre più green molto gettonati sono anche gli esperti di produzione sostenibile, presenti e molto richiesti dalle grandi imprese del mobile. A loro la responsabilità di scegliere i materiali, innovare i processi produttivi, selezionare e formare gli artigiani conto terzisti con un impatto molto incisivo su tutta la filiera. Ma c’è carenza anche di restauratori di mobili. I tecnici esperti hanno lavori spesso affidati da facoltosi proprietari e committenze pubbliche, ma il mercato di massa è in gran parte in mano a dopo-lavoristi o pensionati.

Possibilità straordinarie nel mondo del legno-arredo

Un professionista poco noto poi è il carteggiatore, un esperto in grado di rendere la superficie del legno nuda, uniforme, liscia e pronta per trattamenti e rifiniture. In pochissimi lavorano ancora manualmente, solo per pezzi unici ed esclusivi. Mancano poi i montatori. Le imprese artigiane consegnano e montano direttamente i mobili nelle case dei clienti, ma la media-grande distribuzione oggi esternalizza il servizio a costi sicuramente competitivi e condizioni economiche spesso insostenibili per gli operatori, costretti a lavorare di corsa e a cottimo.
“Nel mondo del legno-arredo l’artigianato offre possibilità straordinarie – spiega il segretario generale di Unione Artigiani Marco Accornero -. Dobbiamo ripartire dalle scuole dell’obbligo e lanciare una grande campagna per incentivare i ragazzi a scegliere i mestieri artigiani”.

Grandi Dimissioni: una nuova sfida per le Direzioni HR 

Nell’ultimo anno il tasso di turnover è aumentato per il 73% delle aziende. Il fenomeno delle Grandi Dimissioni interessa anche il nostro Paese: il 45% degli occupati nell’ultimo anno dichiara infatti di aver cambiato lavoro o di avere intenzione di farlo da qui a 18 mesi. Dopo il blocco del mondo del lavoro a seguito della pandemia le direzioni HR sono tornate a concentrarsi sui temi dell’employer branding e dell’attrazione dei talenti. Ma il mercato del lavoro è profondamente mutato, e per il 44% delle aziende la propria capacità di attrarre candidati è notevolmente diminuita. Nel 2021 è proprio questo l’ambito su cui le Direzioni HR hanno avuto maggiori criticità. A preoccupare le organizzazioni sono però anche le difficoltà in termini di capacità di motivare, coinvolgere e trattenere le persone già presenti al loro interno. 

Cresce tra i giovani il numero dei ‘dimissionari’ 

Sono alcuni risultati della ricerca dell’Osservatorio HR Innovation Practice della School of Management del Politecnico di Milano. I numeri dei ‘dimissionari’ crescono per i giovani (18-30 anni), per determinati settori (ICT, Servizi e Finance) e alcuni profili (professionalità digitali). E tra chi ha cambiato lavoro, 4 su 10 lo hanno fatto senza un’altra offerta al momento delle dimissioni. Chi cambia lavoro lo fa principalmente per cercare benefici economici (46%), opportunità di carriera (35%), una maggiore salute fisica o mentale (24%), inseguire le proprie passioni personali (18%) o una maggiore flessibilità dell’orario di lavoro (18%).

Diminuisce il livello di engagement

Ma emergono anche altri elementi di malessere sul lavoro. Analizzando tre dimensioni del benessere lavorativo (fisica, sociale e psicologica), solo il 9% degli occupati dichiara di stare bene in tutte e tre. L’aspetto più critico è quello psicologico: 4 su 10 hanno avuto almeno un’assenza nell’ultimo anno per malessere emotivo. Preoccupazioni che si riflettono anche sullo stato fisico, con difficoltà a riposare bene e/o insonnia (55%). Questo malessere, però, sembra quasi totalmente sconosciuto alle aziende, che solo nel 5% dei casi lo considera un aspetto problematico. A questo si accompagna una diminuzione del livello di engagement: rispetto al 2021 i lavoratori pienamente “ingaggiati” passano da un già basso 20% a un preoccupante 14%. E solo il 17% si sente incluso e valorizzato all’interno dell’organizzazione.

Come portare l’organizzazione a un modello di lavoro “sostenibile”?

L’utilizzo della leva tecnologica e dei dati per la presa di decisioni è fondamentale per l’evoluzione della Direzione HR, che deve portare l’organizzazione a un modello di lavoro “sostenibile”, con al centro il benessere dei lavoratori, l’engagement e l’impiegabilità. Sono questi, infatti, gli aspetti chiave su cui deve basarsi il nuovo ruolo del Connected People Care, un approccio alla gestione del capitale umano sempre più orientato alle esigenze specifiche di ogni persona, capace di far leva sull’utilizzo di nuovi canali di relazione, e strumenti che raccolgono ed elaborano una moltitudine di dati provenienti da diverse fonti.

Come acquisteranno Gen Z e Gen Alpha?

Come acquisteranno i giovani della Gen Z e i giovanissimi della Gen Alpha? Risponde la ricerca L’evoluzione del Consumer Engagement di domani, condotta dagli studenti del MAFED, il Master in Fashion, Experience & Design Management di SDA Bocconi, e promossa da Salesforce. L’indagine porta alla luce alcune nuove tendenze: innanzitutto il negozio fisico diventa un centro di esperienza, non più necessariamente di acquisto. Il 53% degli intervistati appartenenti alla Gen Z acquista ancora in negozio, un’abitudine che continua anche tra la Generazione Alpha, che vede però sempre meno una linea di demarcazione netta tra e-commerce e shopping fisico.

Sostenibilità, da ‘nice to have’ a condizione necessaria 

Più si va avanti con le nuove generazioni, nel negozio fisico non è più fondamentale acquistare. Nei negozi di domani, i commessi non saranno più semplici store assistant, ma sono destinati a diventare ‘manager di aspettative’, in grado di fornire un vero e proprio servizio di consulenza personalizzato. E se prima la sostenibilità era ritenuta un ‘nice to have’, adesso è una condizione necessaria, e per le nuove generazioni è scontato che i brand da cui acquistano abbiano un forte commitment in termini di sostenibilità ambientale e di sostenibilità sociale.
Tuttavia, per i più giovani il costo in più della sostenibilità deve essere parte della value proposition del brand, e non un markup a carico del cliente.

Da virtuale a reale: identità sonora e metaverso

Cresciuti con una stimolazione multisensoriale rispetto all’universo digitale (vedi gli assistenti vocali come Alexa o Google Assistant), i giovanissimi si aspettano che anche i brand da cui acquistano abbiano un’identità sonora. Questo per i brand significa necessariamente dover dare una nuova importanza anche alla capacità di costruire stimoli basati sul senso della voce anche per la modalità di acquisto e assistenza.
Inoltre, la realtà dev’essere aumentata anche per il brand. Il metaverso, e le nuove piattaforme di gaming e di AR/VR diventano quindi essenziali. Non solo per saper comunicare con le generazioni più giovani, ma anche perché danno alle aziende la possibilità di creare prodotti digitali essenziali per creare awareness. Ad esempio, creando collezioni in edizione limitata da mettere in vendita solo in alcuni negozi.

Il mass market fa da apripista ai nuovi servizi

Dalla velocità nelle consegne all’importanza crescente del second-hand fino alla necessaria trasparenza dei programmi di fidelizzazione, i marchi della moda e del lusso devono imparare a intercettare i trend di cui le nuove generazioni non possono più fare a meno. Le nuove generazioni hanno un tempo di attenzione sempre più limitato, per loro il concetto di e-commerce coincide con il concetto di consegna immediata.  Per il 42% degli intervistati della Gen Z, poi, il reselling è una pratica consueta.  E le nuove generazioni identificano la community anche con la possibilità di fare scambi, noleggi o vendite di prodotti second-hand. Una modalità di sharing dei propri abiti, o di accessori e prodotti che fanno parte della loro vita.

Nel mirino del cybercrime anche auto e ospedali

La digitalizzazione ha aperto scenari rivoluzionari, come l’interconnessione di macchinari all’interno della catena di produzione, che possono essere monitorati e gestiti in tempo reale, oppure il controllo remoto della propria casa. Ma la digitalizzazione porta con sé anche grandi sfide per la sicurezza.
Due mondi che si incontrano portano tanti vantaggi, ma anche ‘nemici’. Così il mondo cyber entra in quello fisico dalle porte di ingresso digitali, e sono diventati realtà attacchi che solo fino a poco fa erano pensabili solo nella fantascienza. Come quello che a marzo ha penetrato la rete idrica della Florida e ha manomesso i livelli di acidità dell’acqua potabile. Automobili, aerei, ospedali e centrali elettriche ora sono altamente digitalizzati e il pericolo che possano essere controllati da malintenzionati dall’esterno esiste concretamente.

Il pericolo cyber physical

Come vere e proprie armi, anche gli invisibili bit possono prendere il controllo o colpire cose reali. Sono alcuni pericoli della digitalizzazione e di cui c’è ancora troppa poca consapevolezza. L’85% degli attacchi informatici supera infatti le difese a causa di disattenzioni umane.
“Spesso si pensa agli attacchi cyber come una sola questione di dati, come ricatti o furti di informazioni, ma ora sono in crescita anche attacchi capaci di bloccare o distruggere infrastrutture reali – spiega Stefano Bordi, Direttore della Cyber & Security Academy di Leonard -. Un settore che va sotto il nome di cyber physical”. Un fenomeno reso appunto possibile dall’incontro di due mondi, digitale e analogico.

Il mercato nero di armi digitali

“Esattamente come nel mondo reale – ha aggiunto Bordi – esiste un mercato nero di armi cyber in vendita per compiere azioni criminali di ogni tipo”.
Per contrastare i cyber criminali, come nel mondo reale esistono tante contromisure, ma uno dei grandi problemi è la mancanza di consapevolezza. È anche questo uno dei motivi della nascita della Cyber & Security Academy di Leonardo, un centro che ambisce a fornire le competenze e le capacità necessarie per fronteggiare le minacce alla sicurezza e supportare la transizione digitale a settori quali Difesa, Pubblica Amministrazione, infrastrutture critiche e imprese.

Servono strumenti di difesa sempre più efficaci

All’interno della Cyber & Security Academy di Leonardo, riferisce Ansa, sono a disposizione strumenti molto potenti, come le piattaforme Cyber Range e Cyber Trainer, in cui replicare scenari di ‘battaglia cyber’ per addestrare personale, identificare eventuali debolezze delle infrastrutture e formare quante più persone possibile in Italia e in Europa.
“Servono strumenti di difesa sempre più efficaci, ma soprattutto più consapevolezza a tutti i livelli nel curare la sicurezza – commenta Bordi -. Un settore visto ancora spesso come un costo”. Ma serve anche tanta formazione.

Clima di fiducia, in calo per consumatori e imprese

Dopo mesi in cui sembrava tornato l’ottimismo, febbraio segna un passo indietro per quanto riguarda il clima di fiducia di consumatori e imprese. Il raffreddamento dei numeri è frutto delle stime dell’Istat che, come ogni mese, monitora il sentiment di cittadini e aziende. Più nel dettaglio, a febbraio 2022 si stima una diminuzione dell’indice del clima di fiducia dei consumatori da 114,2 a 112,4, mentre l’indice composito del clima di fiducia delle imprese sale da 105,3 a 108,2.

Il sentiment dei consumatori

Tutte le componenti dell’indice di fiducia dei consumatori sono in calo ad eccezione del clima futuro, rivelando quindi un cauto ottimismo per i prossimi mesi. Più in dettaglio, il clima economico scende da 129,7 a 129,4, il clima personale e quello corrente registrano una flessione più accentuata passando, rispettivamente, da 109,0 a 106,8 e da 114,7 a 109,6. Infine, il clima futuro aumenta (da 113,5 a 116,6).

E quello delle imprese

Con riferimento alle imprese, segnali eterogenei provengono dai quattro comparti indagati. In particolare, l’indice di fiducia diminuisce nel comparto manifatturiero (da 113,7 a 113,4) e in quello del commercio al dettaglio (da 106,6 a 104,9) mentre aumenta nelle costruzioni (da 158,8 a 159,7) e, in misura marcata, nei servizi di mercato (da 94,9 a 100,5).
Quanto alle componenti degli indici di fiducia, nella manifattura peggiorano sia i giudizi sugli ordini sia le attese sulla produzione in presenza di un decumulo delle scorte; nel commercio al dettaglio i giudizi sulle vendite si deteriorano, le scorte sono giudicate in accumulo mentre le attese sulle vendite sono in aumento. Per quanto attiene il comparto delle costruzioni e quello dei servizi, tutte le componenti sono in miglioramento.
In relazione all’andamento della fiducia nei macrosettori produttivi esaminati per ciascun comparto, nel manifatturiero si segnala una diminuzione nei beni strumentali a fronte di un aumento dell’indice nei beni intermedi e una stabilità nei beni di consumo. Per le costruzioni si evidenzia un incremento nel settore della costruzione di edifici e, in particolare, in quello dei lavori di costruzione specializzati.
Con riferimento ai servizi, l’indice di fiducia aumenta in tutti i macrosettori con una risalita più decisa nel trasporto e magazzinaggio e nell’informazione e comunicazione. Relativamente ai circuiti distributivi del commercio al dettaglio, l’indice di fiducia registra una caduta nella distribuzione tradizionale e un aumento nella grande distribuzione. Non resta che attendere le prossime settimane per verificare se ci sarà maggior positività.

In Italia nel 2021 le auto elettriche sono raddoppiate

Nel corso dell’anno appena finito le auto Pev, ovvero le Plug-in Electric Vehicle, somma di Bev (elettriche a batteria) e Phev, hanno registrato una crescita del 128,34%, con 136.754 mezzi immatricolati. Più in particolare, sono state immatricolate 67.255 auto Bev, +107% rispetto al 2020, e 69.499 Phev (+153,75%). Le auto con la spina raggiungono quindi una penetrazione del 9,35% sul mercato automobilistico totale, contro il 4,33% dell’anno precedente. Sono alcuni dati rilasciati da Motus-E, l’associazione che raggruppa tutti gli stakeholders della mobilità elettrica, che fa il punto sulle immatricolazioni delle auto elettriche in Italia nel 2021.

A dicembre raggiunta una quota record di mercato del 13,55%

Nel solo mese di dicembre, invece, le auto Pev immatricolate “registrano un calo del 13,21% rispetto a dicembre 2020, con 11.833 unità vendute – spiega Motus-E -. Le auto Bev calano invece del 15,24%, a 6.158 unità immatricolate, mentre le Phev diminuiscono del 10,90%, con 5.675 unità immatricolate.
Nonostante questi cali, “complice un total market che a dicembre fa registrare minimi storici con solo 87.338 auto vendute, le auto elettriche raggiungono una quota record di mercato del 13,55%”, sottolinea Motus-E.

La fine degli incentivi preoccupa il mercato e l’intera filiera

Sono diversi i fattori che hanno contribuito al calo delle immatricolazioni nel mese di dicembre, “dai ritardi di consegna dovuti alla crisi delle materie prime, dei semiconduttori e dei microchip, alla possibilità di immatricolare entro giugno 2022 le auto acquistate tramite prenotazione dell’Ecobonus e all’effetto, visibile, della fine degli incentivi per auto elettriche, avvenuta nel mese di ottobre 2021- continua l’associazione -. Proprio la fine degli incentivi e una mancata programmazione degli stessi per il triennio a venire preoccupano il mercato e l’intera filiera” riporta Adnkronos.

Si auspica un intervento di Mise e Mef all’inizio dell’anno

“In assenza di ulteriori supporti, è plausibile ipotizzare che i valori delle Bev immatricolate nei primi mesi del 2022 saranno inferiori a quelli dei primi mesi del 2021 – sostiene Motus-E -. La mancanza di bonus all’acquisto farà dirottare i pochi mezzi elettrici prodotti in Italia verso mercati più appetibili. È davvero incomprensibile che il governo abbia deciso di ignorare completamente il settore, in un rimbalzo di responsabilità tra governo e Parlamento che sfiora il grottesco, e che vedrà riflettersi nella drammatica riduzione di immatricolazioni di vetture elettriche e ibride plug-in nel 2022”, afferma ancora l’associazione di settore. Augurandosi “un intervento di Mise e Mef all’inizio di quest’anno”. 

La pandemia fa crollare le barriere dell’omnicanalità

La ricerca NielsenIQ, condotta in occasione dell’Osservatorio Multicanalità 2020, evidenzia come in 13 anni, dal 2007 al 2020, sono sempre di più i consumatori italiani che esprimano un atteggiamento favorevole ai contesti digitali. Il connubio tra mondo digitale e mondo fisico è infatti ormai un fenomeno di massa, e le barriere dell’omnicanalità sono definitivamente crollate, grazie anche all’accelerazione causata dalla pandemia. Insomma, ciò che prima costituiva una barriera all’adozione di strumenti digitali, oggi lo è sempre di meno. Lo testimonia la penetrazione di internet: oggi, l’88% degli italiani si connette alla rete. Non tutti i consumatori, però, adottano gli stessi comportamenti in un contesto omnicanale.

Diversi comportamenti in base alle categorie merceologiche di acquisto

Per comprendere i trend e quali decisioni strategiche adottare, NielsenIQ ha segmentato la popolazione italiana in base al comportamento in ambito digitale, ottenendo 5 cluster, dai meno ai più digital: Digital Unplugged, Digital Rookie, Digital Bouncer, Digital Engaged e Digital Native. Considerato l’approccio omnicanale eterogeneo dei consumatori è quindi fondamentale comprendere le differenze di comportamento in base alle categorie merceologiche di acquisto. La stessa persona, infatti, può avere un profilo digitalmente ‘base’ per il Largo Consumo, ma evoluto per la categoria dei viaggi. Ciò dipende da numerosi fattori, tra i quali la propensione al digitale, il vissuto della categoria e il livello di maturità dell’offerta, che deve adeguarsi alle nuove esigenze dei consumatori se vuole cogliere tutte le opportunità di crescita. 

Il ‘contagio digitale’ spinge la multicanalità

Guardando ai dati, in Italia nel Largo Consumo i cluster che vivono appieno o frequentemente l’omnicanalità sono sottorappresentati rispetto alla media (41% vs 50%), mentre in settori come le ITC o i Travel sono tra il 60 e il 70%.   Ma cosa succederebbe se i settori con pratiche digitali più diffuse riuscissero a far beneficiare quelli meno sviluppati nel contesto omnichannel? Prendendo a prestito la terminologia dell’attuale situazione sanitaria, l’effetto ‘spillover’ sarebbe la misura di quanto la diffusione di pratiche digitali su determinate industry potrebbe influenzare le aspettative e le abitudini nelle restanti categorie. In altre parole, sarebbe una sorta di ‘contagio digitale’. 

Mettere il consumatore in condizione di preferire un approccio omnicanale

Se il contesto italiano guarda spesso a Cina, Stati Uniti o Francia per cercare di capire quali trend potrebbero manifestarsi nell’immediato futuro, anche il settore del Largo Consumo dovrebbero guardare alle industry che già riescono a sfruttare l’omnicanalità in maniera ottimale. Questo, per migliorare velocemente la propria offerta, rispondendo alle esigenze dei consumatori. È proprio questo il punto sul quale manufacturer e retailer dovrebbero concentrarsi per ripensare e riadattare le loro strategie: se un individuo si comporta da Digital Engaged o Digital Native in alcune categorie di determinate industry, ciò significa che potrebbe essere pronto a farlo anche nel largo consumo, nel Pharma o nel Beauty. Ed è più probabile che lo faccia se l’offerta sarà in grado di rispondere alle sue esigenze, mettendolo in condizione di preferire un approccio omnicanale a quello puramente fisico.

Specialità regionali protagoniste nel carrello della spesa, +6,4% di fatturato

Nel corso del 2020 supermercati e ipermercati segnalano oltre 9.200 prodotti food & beverage con l’origine di provenienza riportata in etichetta, e con un giro d’affari da 2,6 miliardi di euro, +6,4% annuo, le specialità regionali diventano protagoniste nel carrello della spesa degli italiani.  Lo rileva la nona edizione dell’Osservatorio Immagino di GS1 Italy, che traccia una vera e propria mappa del regionalismo in tavola. Al primo posto per valore delle vendite si piazza il Trentino-Alto Adige (+7%), al secondo la Sicilia (+5,1%) e al terzo il Piemonte (+3,7%), la regione con il maggior numero di prodotti (1.152 referenze). L’Osservatorio disegna anche la geografia delle vendite dei panieri regionali all’interno del territorio nazionale, per individuare dove sono più apprezzati, riferisce Ansa.

Il sovranismo alimentare regna in Sardegna, Trentino e Friuli

Il sovranismo alimentare regna in Sardegna, Trentino-Alto Adige e Friuli-Venezia Giulia, mentre in Lombardia, Emilia-Romagna, Campania, Molise e Calabria i prodotti del territorio locale restano preponderanti e sviluppano più vendite rispetto alla media nazionale.Ma ci sono anche regioni dove i prodotti locali non sono ai primi posti per incidenza sugli acquisti, come accade in Valle d’Aosta e Basilicata. Nel resto del paese il carrello della spesa è più interregionale. Ad esempio, in Liguria il consumo dei prodotti piemontesi è superiore del 69% alla media italiana e quello dei prodotti campani lo è del 12%, mentre in Piemonte l’indice di allocazione dei consumi è maggiore per i prodotti liguri e per quelli pugliesi.

Il Trentino-Alto Adige conferma la sua leadership

Ancora una volta il primo posto, per valore delle vendite, spetta al Trentino-Alto Adige, grazie a un ampio paniere di prodotti, in particolare vini e spumanti, speck, yogurt, mozzarelle e latte. Una leadership che nel 2020 si è ancor più consolidata, sostenuta in particolare dall’apporto positivo di speck e vini. Il secondo posto va alla Sicilia, il cui paniere di specialità regionali (tra cui spiccano il vino, i sughi pronti e le arance) ha visto aumentare le vendite soprattutto grazie all’apporto di birre, arance, sughi pronti, passate di pomodoro e bevande gassate.

L’exploit del Molise nel 2020

Al terzo posto per valore delle vendite si insedia il Piemonte, davanti a Sicilia e Toscana. Nel 2020 il paniere dei prodotti piemontesi, composto soprattutto da vini, formaggi freschi, carne, acqua minerale e latte, ha ottenuto un aumento delle vendite a cui ha contribuito soprattutto carne bovina, vini Docg, latte Uht, miele e mozzarelle. Confrontando l’andamento delle vendite realizzate nel 2020 con quelle dell’anno precedente, emerge che i panieri regionali più dinamici sono stati quelli di Puglia (+14,4%) e Calabria (+12,5%), seguiti da quelli di Veneto (+9,6%) Sardegna (+8,6%), Abruzzo (+8,5%) e Marche (+8,4%). Il fenomeno del 2020 è stato l’exploit del Molise, che continua a guadagnare spazio nel carrello della spesa degli italiani: l’anno scorso le vendite del paniere dei prodotti di questa regione sono cresciute del +24,8%, con la pasta di semola a fare da traino.