Negli ultimi 15 anni, il Fondo Sanitario Nazionale ha subito continui tagli finanziari nell’ambito delle revisioni della spesa pubblica, come sottolineato dalla ricerca “Il Termometro della Salute” promossa dall’Osservatorio Salute, Legalità e Previdenza Eurispes-Enpam. Questa situazione ha portato a una progressiva riduzione delle capacità del sistema sanitario e ha posizionato l’Italia in una posizione inferiore rispetto ad altri Paesi nel rapporto tra investimenti nella sanità pubblica e PIL. Nel 2019, prima dell’arrivo della pandemia, la percentuale del PIL destinata alla sanità era scesa al 6,2%, a cui i cittadini aggiungevano una spesa diretta del 2,2%. La media dell’Unione Europea a 27 era rispettivamente del 6,4% e 2,2%, mentre in Paesi come Germania (9,9% e 1,7%), Francia (9,4% e 1,8%) e Svezia (9,3% e 1,6%) gli investimenti pubblici in sanità superavano di oltre un terzo quelli italiani. Con l’ultima Legge di stabilità, dopo il triennio “straordinario” in cui sono state destinate risorse per affrontare la pandemia e la campagna di vaccinazione (anche se solo in parte erogate fino ad oggi), la percentuale del PIL destinata al SSN è tornata a diminuire, avvicinandosi al minimo storico intorno al 6%.

Sottratti 37 miliardi di euro in 10 anni

Nel corso di un decennio, sono stati sottratti oltre 37 miliardi di euro alla sanità pubblica italiana, di cui circa 25 miliardi nel periodo 2010-2015 a causa di tagli previsti da diverse manovre finanziarie, e oltre 12 miliardi nel periodo 2015-2019 a causa del “definanziamento” che ha ridotto le risorse del SSN rispetto ai livelli programmati (dati Fondazione Gimbe).

Il problema del mancato turnover di medici e infermieri

Il mancato turnover e il blocco delle assunzioni hanno generato problemi di precariato per medici, infermieri e altre figure professionali di supporto al SSN, che sono diventati inconciliabili con la continuità dell’assistenza. Inoltre, ciò ha portato a un invecchiamento significativo del personale sanitario, con un alto numero di pensionamenti. Questo fenomeno, che ha già ridotto il numero di professionisti. Tra l’altro si prevede che il fenomeno esploderà nei prossimi anni e coinvolgerà anche il settore sanitario privato. Nel 2019, in Italia c’erano 4,05 medici ogni 1.000 abitanti, un dato leggermente inferiore a Spagna (4,4) e Germania (4,39), ma superiore alla Francia (3,17). La percentuale di infermieri (circa 6,16 ogni 1.000 abitanti, con 1,4 infermieri per ogni medico) colloca l’Italia agli ultimi posti nella classifica dei paesi OCSE. 

Medici anziani e pochi dottori giovani

L’anagrafe della classe medica evidenzia la presenza di molti professionisti anziani e pochi giovani. Più della metà della classe medica italiana (56%) è composta principalmente da medici tra i 55 anni e oltre i 75 anni, che entro cinque anni non saranno più in servizio. I medici giovani, ovvero quelli sotto i 35 anni, rappresentano solo l’8,8% in Italia, mentre in Paesi come Gran Bretagna, Olanda e Irlanda superano il 30%, e in Germania, Spagna e Ungheria superano il 20%. La Francia, pur avendo una percentuale inferiore rispetto all’Italia per quanto riguarda i medici sotto i 35 anni, ha comunque un 15,7% di giovani medici, quasi il doppio rispetto all’Italia.