Categoria: Curiosità

Tra il 2012 e il 2021 un quinto di imprese giovanili in meno 

Un allarme che arriva da Unioncamere: in 10 anni l’Italia ha perso un quinto delle imprese guidate da giovani. Le 137mila imprese di under 35 registrate in meno a fine 2021 sono infatti il -20% del 2012, e oggi rappresentano l’8,9% del tessuto produttivo nazionale. A fine 2012 erano, invece, l’11,1%. Questa riduzione risulta più consistente in alcune regioni, come Marche, Abruzzo e Toscana, dove la quota di imprese giovanili in meno si aggira intorno al 30%, ma si estende con variazioni a due cifre in tutto il Paese, a eccezione del Trentino Alto Adige, dove le giovani imprese sono cresciute del 6,5%. Si tratta di un’evidenza discussa al convegno Il futuro del lavoro, organizzato nell’ambito del Meeting di Rimini, dal segretario generale di Unioncamere, Giuseppe Tripoli.

Nel 2019 90mila giovani hanno lasciato l’Italia

Come mostrano le previsioni Istat, secondo Tripoli in 30 anni, tra 2020 e il 2050, gli italiani saranno 5,5 milioni in meno. Inoltre, un numero elevato di nostri connazionali ha lasciato e lascia l’Italia per l’estero: nel 2019, 170mila italiani sono andati all’estero, e più della metà, 90mila, erano giovani. Questo comporta che sempre meno giovani si affaccino sul mercato del lavoro. Come mostrano le elaborazioni di Unioncamere-InfoCamere, rispetto a 10 anni fa avviare una azienda in alcuni settori tradizionali è vista come una opportunità per costruire un progetto lavorativo e di vita per un numero inferiore di giovani. Ad esempio, le imprese manifatturiere giovanili sono diminuite del 33%, anche per effetto delle difficoltà amministrative connesse all’avvio dell’impresa.

Gli under 35 puntano alle start up

C’è però da segnalare un dato interessante, ha ricordato il segretario generale di Unioncamere: la consistente partecipazione giovanile al mondo delle start up innovative. Su quasi 14mila start up innovative, il 15,7% è stato creato da giovani, con una incidenza che è di quasi 7 punti percentuali superiore a quella che la componente giovanile ha sul totale delle imprese. Gli under 35, in generale, sembrano aver puntato in questi anni su alcuni settori della conoscenza tra cui i servizi alle imprese, gli studi di design, il mondo della pubblicità, le attività di ricerca e sviluppo e l’Istruzione.

La riduzione dell’imprenditoria giovanile non tarderà a produrre i suoi effetti 

Questi dati devono far suonare un campanello d’allarme, ha sottolineato il segretario generale. “L’Italia ha costruito la sua forza economica anche sul numero delle imprese, in particolare di piccole dimensioni – commenta Tripoli. -. La riduzione della base imprenditoriale giovanile non tarderà a produrre i suoi effetti anche sui valori economici complessivi del Paese, se non contrastata con efficaci politiche già dagli anni della formazione scolastica”.  

Vacanze estive: nel 2022 per gli italiani sono ecosostenibili

Gli italiani sono sempre più attenti alla sostenibilità: l’86% quest’anno vuole infatti adottare comportamenti rispettosi dell’ambiente anche in vacanza. Più in dettaglio, il 46% preferisce alloggiare in strutture con certificazione di sostenibilità ambientale, il 77% fa attenzione a non disperdere rifiuti nella natura, il 43% raccoglie e smaltisce correttamente i rifiuti che trova dispersi nell’ambiente, e il 41% evita prodotti usa e getta preferendo, ad esempio, la borraccia alle bottigliette di acqua. È quanto risulta dal nuovo rapporto Pulsee Luce e Gas Index, l’osservatorio sulle abitudini degli italiani realizzato da Pulsee, brand digitale e green di luce e gas di Axpo Italia, in collaborazione con la società di ricerche di mercato NielsenIQ. 

Alcuni comportamenti sono migliorabili

L’indagine evidenzia però che alcuni comportamenti sono migliorabili. Ad esempio, solo il 28% non si fa cambiare gli asciugamani tutti i giorni in hotel, e risulta contenuta anche l’attenzione verso prodotti cosmetici ecofriendly, come le creme solari che non inquinano i mari e non danneggiano i coralli (18%). Inoltre, un italiano su due (51%) non raccoglie sabbia, rocce o vegetali locali per portarli a casa come souvenir, un’abitudine ancora radicata. E il 14% degli intervistati ammette di tenere comportamenti meno ecosostenibili in vacanza rispetto alla quotidianità della vita lavorativa.

Mezzi di trasporto e scelta delle mete

Il 73% degli italiani va in vacanza in auto, seguita da aereo (23%) e treno (14%), e solo il 2,8% si affida a servizi di mobilità in condivisione, come car sharing o pooling. Ma una volta arrivati a destinazione la situazione cambia radicalmente: oltre il 75% dichiara infatti di muoversi a piedi (57%) o in bici (18,5%). In generale, il 50% degli intervistati afferma che in vacanza fa più attenzione a scegliere alternative sostenibili rispetto a cinque anni fa. Questa sensibilità si declina nel criterio di scelta delle mete, con più dell’88% del campione che ha deciso di trascorrere le vacanze entro i confini nazionali. Il 23,1% addirittura nella regione di residenza.

La difesa dell’ambiente dovrebbe essere uno dei valori più importanti

La paura per il cambiamento climatico è molto alta per il 93% degli italiani, riporta Adnkronos. Tra i fattori di rischio figurano la contaminazione dell’acqua (90%), la perdita della biodiversità (96%), gli eventi meteorologici estremi e i disastri naturali (91%), l’inaridimento dei suoli (90%) e le microplastiche (92%). In aggiunta, secondo il 90% degli intervistati la difesa dell’ambiente dovrebbe essere uno dei valori più importanti in una società moderna e il Paese dovrebbe investire di più in fonti di energia rinnovabili (91%).

Fatturato dell’industria in crescita, ma pesa l’aumento dei prezzi

La notizia è positiva, anche poi ci sono più in profondità degli aspetti meno rosei. Si tratta degli ultimi dati diffusi dall’Istat riferiti al fatturato dell’industria. Questo infatti a maggio, in base alle stime al netto dei fattori stagionali, aumenta dell’1,4%, in termini congiunturali, registrando una dinamica positiva su entrambi i mercati (+1,5% quello interno e +1,1% quello estero). Nel trimestre marzo-maggio 2022 l’indice complessivo è cresciuto del 7,8% rispetto al trimestre precedente (+8,0% sul mercato interno e +7,3% su quello estero).

Su base tendenziale, il volume del fatturato, corretto per gli effetti di calendario, presenta una crescita del 5,9%, molto più contenuta di quella in valore (+22,9%). Corretto per gli effetti di calendario, il fatturato totale cresce in termini tendenziali del 23,6%, con incrementi del 24,2% sul mercato interno e del 22,4% su quello estero. I giorni lavorativi sono stati 22 contro i 21 di maggio 2021.

L’indice destagionalizzato il più alto dal 2000

“Seppure in leggera attenuazione rispetto al mese precedente, prosegue a maggio la crescita congiunturale del fatturato dell’industria, con l’indice destagionalizzato che tocca il livello più elevato dall’inizio della serie storica (gennaio 2000). L’indicatore di volume, calcolato a prezzi costanti e relativo al solo comparto manifatturiero, mostra invece una leggera flessione rispetto al mese precedente” si legge nel commento. Significa che l’indice destagionalizzato tocca il livello più elevato dall’inizio della serie storica (gennaio 2000). C’è però una ragione sostanziale che incide, l’aumento dei prezzi. Non a caso i dati più eclatanti sono quelli del comparto energia.

Marcati aumenti dei prezzi 

Per quanto riguarda gli indici corretti per gli effetti di calendario riferiti ai raggruppamenti principali di industrie, si registrano marcati incrementi tendenziali per l’energia (+72,7%), i beni intermedi (+32,1%) e i beni di consumo (+17,8%), più contenuti per i beni strumentali (+8,8%).
A maggio, si stima che l’indice destagionalizzato in volume del settore manifatturiero registri un calo in termini congiunturali (-0,3%). Su base tendenziale, il volume del fatturato, corretto per gli effetti di calendario, presenta una crescita del 5,9%, molto più contenuta di quella in valore (+22,9%). “In termini tendenziali, al netto degli effetti di calendario, si registra un incremento marcato del valore del fatturato sia in termini complessivi sia con riferimento ai principali raggruppamenti di industrie, con aumenti particolarmente significativi per il comparto energetico. La crescita in volume, tuttavia, risulta decisamente più contenuta” conclude il comunicato.

Prodotti di IV Gamma: comodi e sani. Ma non tutti sanno cosa sono 

Molto apprezzati dagli italiani, perché comodi, sani, sicuri e sostenibili, i prodotti di IV Gamma sono però ancora vittime di pregiudizi e di alcuni comportamenti sbagliati tra i consumatori. Inoltre, di fronte a una serie di possibili definizioni, solo il 34% degli italiani sceglie quella corretta, ovvero, ‘frutta, verdura, e in generale, ortaggi freschi a elevato contenuto di servizio, confezionati in busta o in vaschette, e pronti per il consumo’.
L’11% risponde invece erroneamente che si tratta di ‘prodotti freschi, confezionati, da rilavare prima del consumo’, il 9% li confonde con i surgelati e il 7% con verdure in conserva.
È quanto emerge da un’indagine Bva-Doxa, commissionata dal Gruppo IV Gamma di Unione Italiana Food.

Sono pratici e fanno risparmiare tempo

I risultati mostrano la grande penetrazione dei prodotti di IV Gamma nelle famiglie italiane: il 38% li acquista tutte le settimane, il 36% 2-3 volte al mese e solo il 7% dichiara di non acquistarli mai.
Ma quali sono i principali motivi per cui gli italiani scelgono la IV Gamma? Il 58% dichiara di acquistarli per comodità e risparmiare tempo, il 34% per la porzionatura, il 30% perché si evitano sprechi di prodotto, e il 26% perché sono prodotti che aiutano a facilitare il consumo di verdure. Infatti, i principali vantaggi riconosciuti dagli italiani sono l’essere pronti all’uso (39%), non devono essere puliti e rilavati (19%), evitano gli sprechi (19%), sono sicuri dal punto di vista igienico e sono controllati (13%), si può verificarne l’etichetta (5%) e la provenienza (5%).

Insalata in busta la più acquistata

Tra i prodotti di IV gamma, la regina incontrastata è l’insalata in busta, acquistata dall’81% del campione, seguita da ciotole di insalata (40%), frutta lavata e tagliata (30%) e zuppe (29%).
Per quanto riguarda la frutta, il 16% dichiara di comprarla tutte le settimane, il 27% 2-3 volte al mese, il 33% 1 volta al mese o meno, mentre il 24% dichiara di non acquistarla mai. Tra le motivazioni di acquisto della frutta di IV gamma, oltre a praticità e comodità (61%), spicca la ‘possibilità di consumare frutta esotica comodamente’ (32%). Il 17% invece la acquista perché rappresenta una merendina pratica per i bambini, e il 10% la utilizza nella preparazione dei dolci.

Comportamenti errati e false credenze

Nonostante l’apprezzamento degli italiani, sussistono ancora comportamenti errati e false credenze: solo il 34% si comporta correttamente, trasportando i prodotti di IV Gamma all’interno di borse frigo.
In relazione alla riduzione degli sprechi, per il 48% la IV Gamma è migliore rispetto agli ortofrutticoli freschi. Analogamente, in relazione all’utilizzo di acqua, il 39% dichiara che garantisce un risparmio idrico rispetto alla preparazione domestica, ma c’è ancora 1 italiano su 4 che sostiene il contrario.
Dal punto di vista igienico, il 29% ritiene che la IV gamma sia migliore rispetto agli ortofrutticoli freschi preparati in casa, ma dal punto di vista nutrizionale quasi 1 italiano su 5 non sa quanto questi prodotti siano nutrienti.

Parità di genere, solo il 28% delle posizioni manageriali è ricoperto da donne

Oggi in Italia, secondo i dati raccolti dall’Osservatorio 4.Manager, le posizioni manageriali femminili sono solo il 28% del totale e la quota si riduce al 19% se si considerano le posizioni regolate da un contratto da dirigente, con un incremento annuo che è solamente dello 0,3% in più negli ultimi 10 anni. L’indagine condotta da 4.Manager su un campione di 6.000 imprese manifatturiere italiane indica che solo il 14% sono a conduzione femminile contro il 79% a conduzione maschile. In particolare le imprese a guida femminile operano per il 21% nel settore tessile e si concentrano per il 19% nel Sud Italia. Ciò significa una propensione alla concentrazione solo in alcuni settori industriali e all’auto impiego da parte soprattutto di donne del Mezzogiorno d’Italia. Le imprese femminili del settore manifatturiero hanno un ridotto grado di innovatività, ma hanno una propensione alla transizione sostenibile molto elevata: solo il 12% di quelle femminili è altamente innovativa contro l’88% di quello maschile, di contro il 66% delle imprese femminili ha una propensione alla transizione sostenibile contro il 34% di quelle maschili.

Gli strumenti del Pnrr e normativi

Per contrastare le molteplici dimensioni della discriminazione verso le donne, nel Pnrr il governo ha annunciato l’adozione di una Strategia nazionale 2021-2026 – in coerenza con la Strategia per la parità di genere 2020-2025 adottata dalla Commissione europea per la parità di genere – che si propone di raggiungere entro il 2026 l’incremento di 5 punti nella classifica dell’Indice sull’uguaglianza di genere elaborato dall’Istituto europeo per l’uguaglianza di genere (Eige), che oggi vede l’Italia classificata al quattordicesimo posto tra i Paesi Ue. In quest’ottica rientra la nuova legge per la parità retributiva del 1° gennaio 2022 che ha istituito il Sistema nazionale di certificazione della parità di genere – per il quale il Pnrr ha stanziato 10 milioni di euro – con l’obiettivo di incentivare le imprese ad adottare policy adeguate a ridurre il divario di genere in tutte le aree che presentano maggiori criticità come le opportunità di carriera, la parità salariale e di mansione, le politiche di gestione delle differenze di genere e la tutela della maternità. Il possesso della certificazione prevede: lo sgravio contributivo dell’1% sui contributi fino a 50mila euro all’anno; un punteggio premiale per la concessione di aiuti di stato e/o finanziamenti pubblici in genere e un miglior posizionamento in graduatoria nei bandi di gara per l’acquisizione di servizi e forniture.

Uno strumento innovativo

E’ uno strumento innovativo che, secondo l’Osservatorio 4.Manager, le aziende già avviate verso una transizione sostenibile cominciano ad apprezzare riconoscendone diversi benefici. Il 31% delle imprese sta adottando strategie significative per favorire la convergenza lavorativa tra uomini e donne, in particolare con interventi virtuosi: il 15,7% per favorire la Genitorialità, il 13,9% per la formazione, il 13% per la parità dei ruoli apicali ed infine l’8,3% a favore della parità salariale. Le grandi e medie imprese che hanno già avviato la transizione verso la sostenibilità e sono a conoscenza del sistema di certificazione della parità di genere sono pari al 69%, mentre le piccole si fermano al 57%. Intervistate dall’osservatorio le imprese riconoscono che i potenziali benefici derivanti dal conseguimento della certificazione della parità di genere consistono in: reputazione aziendale 65%; clima aziendale 59%; riduzione del divario di genere nell’impresa 42%; benefici fiscali 22%; benefici nella partecipazione a gare d’appalto 11% e benefici nell’accesso al credito/capitali 7%.

Caffè, quanto mi costi? La mappa dei rincari in Italia

Nel nostro Paese stiamo assistendo a tanti rincari sia nel prezzo delle materie prime, delle quali moltissime alimentari, sia nei costi dell’energia. Sommando entrambe le componenti, non stupisce che molti prodotti abbiamo registrato un vero e proprio exploit per quanto riguarda il prezzo. E il caffè non fa eccezione, anzi. A dirlo è Assoutenti, che ha calcolato che la tazzina al bar raggiunge 1,25 euro, con prezzi in aumento fino al +16% rispetto al 2021. Ma le variazioni di prezzo di un espresso al bar, tra il Nord e il Sud dello Stivale, possono arrivare anche al 40%.

Il prezzo della tazzina nelle varie città italiane

Il prezzo medio nazionale del caffè è oggi di circa 1,10 euro contro 1,038 euro del 2021,  afferma Assoutenti. La palma del caro-caffè spetta al Trentino Alto Adige, con i bar di Trento che vendono l’espresso consumato al banco in media a 1,25 euro, 1,24 euro a Bolzano. Anche a Cuneo il caffè costa 1,24 euro. In ben 3 province dell’Emilia Romagna (Ferrara, Ravenna e Reggio Emilia) l’espresso abbatte la soglia psicologica di 1,20 euro, così come in Veneto (Rovigo e Venezia), mentre a Padova e Vicenza il prezzo medio è di 1,19 euro. Il caffè più economico d’Italia – avverte Assoutenti – è quello servito dai bar di Messina (0,89 euro), seguita da Napoli, città dove l’espresso è una tradizione storica (0,90 euro) e da due province calabresi (Reggio Calabria e Catanzaro, 0,92 euro).

Allarme trend al rialzo

“Nei mesi scorsi avevamo denunciato i primi ritocchi dei listini del caffè nei bar italiani: i numeri ufficiali confermano oggi il nostro allarme, e il trend al rialzo, che oggi sfiora una media annua del +6%, è destinato a proseguire nei prossimi mesi – afferma il presidente di Assoutenti Furio Truzzi – A generare i rincari da un lato il caro-bollette, che impone maggiori costi energetici agli esercenti poi scaricati sui consumatori finali attraverso i prezzi al dettaglio, dall’altro le tensioni nelle quotazioni delle materie prime, che hanno portato a rincari per beni come caffè e zucchero. A fare le spese di tale situazione sono i consumatori, considerato che in Italia si consumano ogni giorno 9,3 milioni di tazzine di espresso al bar”.

Psicologia dei consumi, quando l’etichetta “senza” è un driver d’acquisto

Interessante esperimento della psicologia dei consumi con lo studio sperimentale dell’EngageMinds Hub, Centro di ricerca in psicologia dei consumi dell’Università Cattolica di Cremona, condotto nelle scorse settimane con il contributo non condizionante dell’Unione italiana olio di palma sostenibile, sui consumi ‘free from’, con un particolare focus sull’olio di palma. In particolare, questa analisi ha voluto esplorare l’appeal delle etichette dei prodotti alimentari in cui si evidenza un “senza” rispetto a quelle dei prodotti convenzionali e le conseguenti attitudini all’acquisto. Si è così scoperto che il potere seduttivo dell’etichetta ‘senza’ può spingere i cittadini a puntare su alimenti nei quali l’ingrediente ‘mancante’ è incongruente o addirittura salutare. 

Anche quando l’ingrediente è… inesistente

Posti di fronte al packaging di un cracker salato e di una merendina dolce, entrambi immaginari e creati per l’esperimento, il 38% dei consumatori coinvolti ha indicato come di particolare qualità la versione convenzionale. Ma quando al campione di cittadini sono stati sottoposti gli stessi prodotti con etichette ‘senza’, le cose sono cambiate. Il 45% considera di particolare qualità il prodotto ‘senza olio di girasole’; una quota che sale al 51% se ‘senza olio di palma’. Ma attenzione: il 48% dei consumatori ritiene di qualità il (fittizio) prodotto ‘senza CO2’ e il 48% attribuisce qualità al ‘senza grassi polinsaturi’ (nonostante essi siano benefici per la salute). Sotto

linea la professoressa Guendalina Graffigna, ordinario di psicologia dei consumi e direttore dell’EngageMinds Hub, che “è da rimarcare come molti cittadini vedano una maggior qualità in un prodotto senza CO2, un ingrediente inventato a solo fine sperimentale, e addirittura in alimenti senza quei grassi polinsaturi che, al contrario, da anni sia la letteratura scientifica che la divulgazione mediatica indicano come fattori promotori della salute. E questo, anche al netto di carenze di literacy in campo alimentare, la dice lunga sull’impatto emotivo e psicologico del fattore ‘senza’ al di là della considerazione razionale dell’ingrediente in questione”.

L’assenza che piace ai consumatori 

La ricerca dell’EngageMinds Hub è andata a indagare altri fattori. Chiedendo, ad esempio, al campione di consumatori coinvolto di specificare la visione che essi hanno sulla salubrità dei prodotti. E anche in questo caso, a fronte di un 32% che ritiene sani gli alimenti convenzionali, la percezione di salubrità è maggiore per i prodotti ‘senza olio di girasole’ secondo il 40% dei cittadini; e ben il 51% dei rispondenti attribuisce una maggiore salubrità ai cibi ‘senza olio di palma’. E di nuovo, quote elevate della popolazione attribuiscono maggior salubrità ai prodotti senza CO2 (48%) e a quelli senza grassi polinsaturi (46%) rispetto al prodotto convenzionale.

“È importante sottolineare che questi risultati sono frutto di un esperimento di psicologia dei consumi”, sottolinea la professoressa Guendalina Graffigna. L’etichetta ‘senza’ “determina una forte distorsione cognitiva nella valutazione dei prodotti alimentari. Tanto che induce i consumatori a pensare che quel prodotto sia anche di maggiore qualità, più salutare e più rispettoso dell’ambiente indipendentemente dal tipo di ingrediente eliminato poiché ciò che guida la valutazione è l’etichetta ‘senza’ e non l’ingrediente escluso. Come EngageMinds Hub – conclude Graffigna – ci occupiamo da anni di queste tematiche, un lavoro che stiamo sviluppando grazie al laboratorio di psicologia dei consumi nel nuovo campus dell’Università Cattolica di Cremona”.

Gli italiani e il consumo di surgelati

Nel biennio scorso si è registrato un boom di consumi di prodotti surgelati, tanto che nel 2020 sono stati superati in Italia i 15 kg di consumo pro-capite annuo. E oggi, il 98% dei nostri connazionali li consuma. Ma cosa c’è nel freezer degli italiani? Bva Doxa, in collaborazione con l’IIAS (Istituto Italiano Alimenti Surgelati), ha fotografato i nuovi trend del comparto, svelando com’è cambiato il freezer degli italiani nell’ultimo biennio e il loro approccio al consumo di frozen food. Di fatto dal 2020 a oggi il 54% degli italiani ha aumentato il consumo di surgelati, in modo più marcato al Sud e fra i giovani e nelle famiglie con figli piccoli. Tanto che queste ultime, insieme agli under 35, risultano i consumer più frequenti di prodotti sottozero: in media più di 2 volte a settimana.

La crescita di nuovi prodotti

L’incremento dei consumi di surgelati si riflette anche in un aumento della varietà: il 74% degli intervistati dichiara di aver messo nel proprio freezer prodotti sottozero mai provati prima (vegetali, snack, pizze, pesce, piatti pronti). Verdure, pesce e pizze surgelate si confermano i prodotti sempre presenti nei freezer, anche nel post Covid. Ma con alcune differenze: i vegetali sottozero risultano i più amati dai single e dalle coppie senza figli (44%), mentre i prodotti ittici in versione frozen conquistano sempre più spazio sulle tavole delle famiglie con bambini (40%) e al Centro Italia.

Fare scorte congelando autonomamente gli alimenti 

Pizze, snack e patate fritte ottengono il 26% delle preferenze di tutti, che sale al 29% al Nord-Est e al 30% nei nuclei familiari con figli piccoli. Non mancano nel freezer anche i piatti pronti (13%), alimenti pratici che continuano a essere scelti anche dopo la prima fase di pandemia, e che risultano più presenti nei freezer dei single senza figli (16%) e al Centro Italia (15%). Nel freezer delle famiglie con figli grandi, invece, c’è posto per tutti i prodotti surgelati: il 30% compra dagli ittici ai vegetali, dalle pizze agli snack. E il 43% dichiara di fare scorte congelando autonomamente anche alimenti come pane, carne, sughi o altre preparazioni casalinghe, soprattutto al Nord-Est.

Pratici, versatili e anti-spreco

Per tutte le categorie merceologiche sottozero, il principale driver d’acquisto si conferma la praticità (70%), soprattutto per le donne, al Nord-Est e nella fascia d’età 35-54 anni. Seguono la possibilità di variare il menu (37%), in particolare per le famiglie con figli piccoli, e la riduzione degli sprechi (25%), soprattutto le coppie senza figli. Rilevanti anche il contenuto nutrizionale (il 22% considera i surgelati analoghi ai prodotti freschi), e la convenienza (22%), soprattutto al Sud e nelle famiglie con figli. Per il 17% del campione, poi, i frozen food sono anche un aiuto a risparmiare. Lo confermano in particolare gli under 35 e i single senza figli.

Spreco alimentare: giovani consapevoli, ma serve più informazione

Sprecare il cibo è sbagliato: la Generazione Z lo sa, ma vorrebbe essere più informata su questo tema. Il 78% dei giovani è infatti consapevole delle conseguenze ambientali causate dallo spreco alimentare, ma l’84% di loro sostiene che avere più informazioni potrebbe aiutarli a sprecare meno cibo. Lo rileva un’indagine realizzata da Too Good To Go, l’app anti-spreco, condotta su un campione di più di 32 mila studenti tramite le stories Instagram sul profilo da 4 milioni di followers di ScuolaZoo. Il 27 marzo Too Good To Go festeggia il suo terzo anno di attività su territorio nazionale.  E per questa occasione, l’app anti spreco nata in Danimarca nel 2015, ha voluto approfondire le abitudini e i comportamenti della Generazione Z in materia di spreco alimentare, e capire quanto i consumatori del futuro siano consapevoli delle implicazioni ambientali causate dallo spreco di cibo.

Limitare i danni dei cambiamenti climatici su persone e ambiente

Oggi più di un terzo di tutto il cibo prodotto viene sprecato, e questo è causa del 10% delle emissioni di gas serra in atmosfera. Infatti, il centro di ricerca Project Drawdown ha individuato nel contrasto allo spreco alimentare la soluzione numero 1 per combattere il cambiamento climatico e mantenere l’aumento delle temperature al di sotto dei 2°C entro la fine del secolo, così da limitare i danni dei cambiamenti climatici su persone e ambiente. Nonostante la maggior parte dei giovani sia a conoscenza di questo problema, avere maggiori informazioni sul tema potrebbe aiutarli a sprecare meno cibo. Un dato rilevante, considerato che oltre la metà dei giovani ha dichiarato di non aver mai trattato il tema a scuola.

I giovani chiedono più strumenti per contrastare lo spreco alimentare

“Le nuove generazioni sono il nostro futuro ed è stimolante sapere che sono sempre più attente e sensibili a questi argomenti – commenta Eugenio Sapora, Country Manager Italia di Too Good To Go -. La collaborazione con ScuolaZoo e l’indagine social rivolta alla sua community ci ha permesso di capire ulteriormente quali siano le reali esigenze dei giovani rispetto a questa problematica. Il fatto che la maggior parte dei rispondenti sia consapevole di ciò che lo spreco di cibo comporta, ma che vorrebbe più informazioni e strumenti per poterlo contrastare efficacemente, ci dimostra quanto la nostra attività, non solo come app anti-spreco, ma anche come movimento di sensibilizzazione, sia importante”, aggiunge Spora.

Anche “l’etichetta” deve essere consapevole

Per operare a 360 gradi contro lo spreco alimentare, Too Good To Go ha lanciato progetti come il Patto contro lo Spreco Alimentare e l’iniziativa ‘Etichetta Consapevole’.
Si tratta di un’aggiunta in etichetta dei prodotti con termine minimo di conservazione (Tmc) della specifica ‘Spesso buono oltre’, accompagnata da alcuni pittogrammi esplicativi (osserva, annusa, assaggia). L’iniziativa, riporta Adnkronos, è nata per sensibilizzare i consumatori sulla differenza tra data di scadenza e Tmc, ora presente in Italia su più di 10 milioni di confezioni di prodotti.

Metaverso, i rischi per la sicurezza 

Il metavers è un sistema di realtà virtuale in cui gli utenti creano i propri avatar personali e possono interagire con quelli degli altri. Di fatto, nel 2021 Facebook Inc. ha abbandonato il proprio marchio in favore del nuovo nome Meta, creando una nuova piattaforma, il metaverso. Questa nuova piattaforma terrà traccia dei movimenti degli occhi, dell’andatura, della dilatazione della pupilla degli utenti e di molti altri dati, generando un avatar che si muove e agisce in modo naturale. Al contempo raccoglierà tutte le informazioni fornite dall’utente. Ma oltre a una serie di ostacoli, come, ad esempio, la produzione dellla potenza di calcolo necessaria a supportare un’ampia platea di utenti, Meta si trova di fronte a un problema che non ha ancora ben chiaro come affrontare: quello della sicurezza.

Come affrontare il problema della privacy?

A quanto riferisce Acronis Meta ha pianificato investimenti per 50 milioni di euro in ricerche incentrate sul miglioramento della sicurezza e della privacy. Per farlo, ha affidato parte delle risorse a istituti terzi come la National University of Singapore, che le impiegherà per indagare sull’utilizzo dei dati. La storia di Facebook però è gravata da infamie quasi inevitabili, e altrettanto prevedibili, in una piattaforma social che accoglie oltre 2,9 miliardi di utenti. Una storia di scandali legati alle fake news, ai presunti tentativi di influenzare tornate elettorali e alle preoccupazioni inerenti sicurezza e privacy. Come si tradurranno questi aspetti nel metaverso virtuale, dove le interazioni saranno molto più personali?

Oltre ai cyber attacchi resta l’ostacolo della capacità di calcolo 

L’Italia è un bersaglio particolarmente vulnerabile ai cyberattacchi, e sempre secondo Acronis, l’economia della criminalità informatica ha raggiunto un giro d’affari di circa 2.000 miliardi di dollari. È il segmento a più rapida crescita nell’intera economia criminale, che ammonta complessivamente a 5.000-10.000 miliardi di dollari. Una piattaforma semplice da usare come il metaverso, che attrae principalmente una vasta platea di giovani giocatori, mette le nuove generazioni a rischio.
Ma anche senza i cyber criminali, il metaverso implica altri problemi, ad esempio, esige una capacità di calcolo pari a 1.000 volte quella attualmente utilizzata per supportare il bacino di utenti.
Pur mettendo in atto le idonee misure di sicurezza, i più piccoli corrono comunque il rischio di venire adescati, un problema a cui deve far fronte qualsiasi piattaforma social che attragga minori.

Il gaming e le nuove economie virtuali

All’interno dei vari giochi del metaverso prendono poi forma economie virtuali diverse, capaci di mettere a rischio chi ancora non ha acquisito nozioni di finanza e chi è vulnerabile alla dipendenza al gioco d’azzardo. Con tutta probabilità, il metaverso non introdurrà problemi nuovi sulla scena del gioco virtuale, tuttavia non significa che non si debba indagare sulle potenziali problematiche.
Con 3 miliardi di fruitori, il gaming non è certo destinato a svanire, ed è tempo che il mondo si occupi seriamente delle minacce che incombono sulla sicurezza, soprattutto dei più giovani. Non si può vendere la privacy a poco: vale molto più di quel che possiamo immaginare.